LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI GENOVA 
                              Sezione 3 
 
    riunita con l'intervento dei sig.ri: 
        Delucchi Marcello, Presidente e relatore; 
        Galletto Roberto, giudice; 
        Castelli Franco, giudice; 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.   1099/2018
depositato il 27 agosto 2018: 
        avverso     provvedimento     irrogazione     sanzioni     n.
TL3IR2200015/2018 Trib. erariali 2009; 
        avverso     provvedimento     irrogazione     sanzioni     n.
TL3IR2200015/2018 Trib. erariali 2010; 
        avverso     provvedimento     irrogazione     sanzioni     n.
TL3IR2200015/2018 Trib. erariali 2011; 
        avverso     provvedimento     irrogazione     sanzioni     n.
TL3IR2200015/2018 Trib. erariali 2012; 
        avverso     provvedimento     irrogazione     sanzioni     n.
TL3IR2200015/2018 Trib. erariali 2013; 
    contro: Agenzia entrate - Direzione provinciale Genova; 
    proposto dal ricorrente: Bozzi Paola, via Cavour, 70 I 10 - 16036
Recco (GE); 
    difeso da: Raggi Nicolo', v.le Padre Santo 5/11 B - 16136 Genova. 
Conclusioni. 
    Per la ricorrente: 
        voglia l'on. le Commissione tributaria provinciale di  Genova
adita, per i motivi del ricorso sopra illustrati, annullare l'atto di
irrogazione  sanzioni   in   epigrafe.   con   conseguente   condanna
dell'Agenzia alla rifusione delle  spese  di  giudizio  (ex  art.  15
c.p.t.)  e  del  procedimento  amministrativo  (ex  art.  16  decreto
legislativo n.  472  del  1997)  che  l'ha  preceduto,  nella  misura
indicata dall'art. 15, comma 2-septies, c.p.t.  o  in  quella  meglio
vista. 
    Per la non creduta ipotesi in cui la Commissione adita: 
        non  ritenga  accoglibile  il  motivo  n.   1   del   ricorso
introduttivo («non imputabilita' della contribuente per  mancanza  di
colpa») e, quindi, reputi il contribuente responsabile del  ritardato
pagamento degli Atti inerenti la voluntary disclosure; 
        non ritenga neppure accoglibili i motivi di ricorso numeri 1,
2, 3 e 4 contenenti questioni pregiudiziali e assorbenti (cfr.  Corte
costituzionale 13 luglio 2017, n. 188); 
        ritenga  che  la  questione  d'illegittimita'  costituzionale
sollevata sub parte  G  delle  presenti  memorie  sia  manifestamente
fondata e non sia possibile una lettura costituzionalmente  orientata
della disposizioni ivi censurate per  violazione  dell'art.  3  Cost.
nonche' del  combinato  disposto  degli  articoli  117  e  7  CEDU  e
dell'art. 27 Cost. 
    si domanda emetta ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i
motivi delle istanze  di  rimessione  formulata  dall'esponente  (sub
parte G del presente atto) disponga  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale e sospenda  il  presente  giudizio  ex
art. 23 della legge n. 87 del 1953. 
    Per la non creduta ipotesi in cui la Commissione adita ritenga di
non sollevare alcuna delle questioni di  legittimita'  costituzionale
indicate sub par. G s insta affinche', per le  ragioni  indicate  nel
par. H, il contribuente sia dichiarato rimesso in termini, alla  data
di  effettuazione  dei  pagamenti  (14  luglio  2016),  senza   oneri
aggiuntivi. 
    Per l'Agenzia delle entrate: 
        chiede a codesta onorevole Commissione tributaria provinciale
il rigetto del ricorso e la condanna del  ricorrente  alle  spese  di
giudizio. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Nell'ottobre del 2015 Bozzi Paola presento' richiesta di  accesso
alla procedura di voluntary disclosure, prevista  dall'art.  1  della
legge n. 186/2014 per investimenti ed attivita' finanziarie  detenuti
in Svizzera dal defunto marito, chiedendo che tutti gli atti  fossero
notificati all'indirizzo pec del proprio  consulente,  incaricato  di
seguire la pratica. 
    L'Ufficio, in data 19 aprile 2016, notifico'  a  detto  indirizzo
cinque atti  tra  i  quali,  per  quanto  qui  interessa,  l'atto  di
contestazione n. TL3CO2201187/2016 per le violazioni  in  materia  di
monitoraggio fiscale (omessa compilazione del mod. RW)  relativamente
agli anni dal 2009 al 2013 per l'ammontare di € 31.268,69 (ridotto ad
€ 25.727,87 per effetto del cumulo). 
    Nell'atto di contestazione vennero indicate  le  modalita'  ed  i
termini di pagamento di detta somma che avrebbe dovuto avvenire entro
sessanta giorni dal momento della notifica e, quindi, a  partire  dal
19 aprile 2016, entro il 20 giugno 2016. 
    Da controlli effettuati l'Ufficio riscontro'  che  il  versamento
era stato effettuato in data 14  luglio  2016.  Ritenuta  quindi  non
perfezionata  la  procedura,   notifico'   alla   Bozzi   l'atto   di
contestazione n. TL3CO2200221/2017. 
    Presentate  dalla  Bozzi  deduzioni  difensive  l'Agenzia   delle
entrate, con l'atto di  cui  in  epigrafe,  le  irrogo'  la  sanzione
pecuniaria di € 125.074,69 per non aver indicato nel  mod.  RW  della
dichiarazione modello UNICO la consistenza patrimoniale per gli  anni
di imposta interessati.  A  parte  le  notifico'  quattro  avvisi  di
accertamento relativi agli anni dal 2010 al 2013  per  i  redditi  di
tali annualita' non dichiarati. 
    Avverso l'atto sanzionatorio propose ricorso in  questa  sede  la
Bozzi  denunciandone  l'illegittimita'  ed  instando   per   il   suo
annullamento (mentre a parte provvide all'impugnazione  degli  avvisi
di accertamento). 
    Dedusse  che  il  ritardo  nel  pagamento  era   ascrivibile   al
comportamento omissivo del proprio consulente sul  cui  operato  essa
non aveva potuto esercitare alcun controllo non avendo avuto modo  di
verificare la di lui casella di posta elettronica  certificata  nella
quale erano transitate le comunicazioni dell'A.F.. ne'  essendo  essa
mai stata messa a conoscenza degli atti afferenti la procedura. 
    Rilevo', poi, che  il  ritardo  aveva  integrato  una  violazione
meramente formale non punibile  ai  sensi  dell'art.  6  del  decreto
legislativo  n.  472  del  1997,  non  avendo  arrecato   pregiudizio
all'esercizio delle azioni di controllo del Fisco  ne'  inciso  sulla
determinazione della base imponibile, dell'imposta e  del  versamento
del tributo. 
    Considero' inoltre che il  contribuente  che  avesse  versato  in
ritardo il dovuto non poteva subire un trattamento deteriore rispetto
a quello la  cui  istanza  fosse  stata  ritenuta  inammissibile  e/o
improcedibile. Il secondo - rilevo' - avrebbe  potuto  accedere  alla
riedizione della voluntary  disclosure  in  base  alla  circolare  12
giugno 2018, n. 19/E beneficiando del relativo trattamento  premiale:
mentre il primo se la sarebbe  vista  precludere  in  violazione  dei
principi di eguaglianza (art.  3  Cost.)  e  di  imparzialita'  della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    Ancora, obietto' che l'Ufficio aveva nel marzo 2016 trasmesso  al
proprio consulente una richiesta di documentazione unitamente  ad  un
fac-simile da compilare per ricevere gli atti attinenti la  voluntary
disclosure a mezzo pec. Detto fac-simile -  considero'  -  era  stato
successivamente mutato  nel  format  per  effetto  del  provvedimento
direttoriale in data 13  aprile  2016;  onde  avrebbe  dovuto  essere
partecipato  al  professionista  nella  nuova  veste  in  omaggio  al
principio di collaborazione tra contribuenti e Fisco e del  legittimo
affidamento. Al contrario - lamento' - l'A.F.  aveva  interrotto  con
questi ogni interlocuzione tradendone l'affidamento  di  ricevere  il
nuovo modello per rinnovare suo tramite la richiesta. 
    Contesto', poi, la violazione del principio  di  proporzionalita'
delle sanzioni inflitte. Ove il procedimento si fosse perfezionato  -
osservo' - essa avrebbe dovuto pagare  la  somma  di  €  25.727,87  a
titolo di sanzioni; laddove un ritardo di appena 24 giorni era  stato
sanzionato con la ben maggior somma di € 125.074.69. 
    Lamento' che le era stata addebitata  l'omessa  compilazione  del
quadro RW  anche  in  relazione  all'anno  2009,  in  violazione  del
principio per il quale  la  contestazione  degli  illeciti  tributari
poteva avvenire entro il  termine  dei  rispettivi  accertamenti  (31
dicembre  del  quinto  anno  successivo).   Poiche'   per   principio
giurisprudenziale il termine di  decadenza  per  l'irrogazione  della
sanzione doveva  essere  individuato  nel  termine  previsto  per  il
tributo dovuto, l'annualita' relativa al 2009 avrebbe  dovuto  essere
esclusa da ogni provvedimento sanzionatorio. 
    Eccepi'  ancora  l'omessa  applicazione  del   cumulo   giuridico
pluriennale per le violazioni concernenti le infedelta'  dichiarative
per gli anni dal 2010 al 2013; e l'arbitrario scomputo di quanto gia'
versato, condizionato alla definizione dell'atto di contestazione. 
    L'Ufficio, nel costituirsi, contesto' le  opposte  pretese  delle
quali chiese il rigetto denunciandone l'infondatezza. 
    Premesso che l'omesso rispetto dei termini per il pagamento aveva
determinato   il   mancato   perfezionamento   della   procedura   di
collaborazione  volontaria  ai  sensi  degli  articoli   5-quater   e
5-quinquies nel decreto-legge n. 167/1990,  convertito  in  legge  n.
227/1990, rilevo' che lo stesso  commercialista  della  Bozzi,  nella
corrispondenza  intercorsa,  aveva  riconosciuto  che  gli   atti   a
completamento della procedura gli erano stati notificati il 19 aprile
2016, ma che per un disguido a se' imputabile  ne  aveva  preso  atto
solo l'11 luglio successivo; cio' che aveva determinato il  pagamento
tardivo avvenuto in data 14 luglio 2016. 
    Ed era stata la stessa Bozzi - aggiunse - ad  aver  espressamente
richiesto che tutti  gli  atti  fossero  notificati  tramite  pec  al
proprio  consulente:  onde  l'Ufficio  non  aveva  fatto  altro   che
corrispondere a tale richiesta. 
    Richiamo' sul punto la giurisprudenza della S.C. per la quale gli
obblighi tributari non potevano  considerarsi  assolti  con  il  mero
affidamento da parte del contribuente delle relative incombenze ad un
professionista, richiedendosi altresi' un'attivita' di controllo e di
vigilanza sulla loro  effettiva  esecuzione,  superabile  soltanto  a
fronte di un comportamento fraudolento del consulente, finalizzato  a
mascherare il proprio inadempimento. 
    Ne' valeva eccepire il carattere meramente formale del  pagamento
tardivo atteso che la legge sanzionava il ritardo con la perdita  del
beneficio premiale e con i conseguenti atti  impositivi,  cosi'  come
previsto dall'art. 10, comma 1, della legge n. 186/2014. 
    La dedotta disparita' di trattamento tra contribuenti  ammessi  o
meno ad accedere alla seconda  edizione  della  voluntary  disclosure
trovava fondamento nelle disposizioni  di  legge  che  avevano  cosi'
sanzionato i secondi (che non avevano pagato  nei  termini  le  somme
dovute) rispetto ai primi. 
    Quanto all'eccepita violazione del provvedimento direttoriale del
13 settembre 2016 preciso' che nessuna norma prescriveva un invito al
contribuente a  rinnovare  la  richiesta  nel  rispetto  della  nuova
modulistica.  Tra  l'altro  -  aggiunse  -  sarebbe   stato   assurdo
richiedere alla Bozzi una informazione gia' fornita sol  perche'  era
stato approvato un nuovo modello. 
    La tesi dell'affidamento  del  professionista  sull'invio  di  un
sollecito, poi, risultava  smentita  dalle  stesse  dichiarazioni  di
quest'ultimo contenute nella missiva indirizzata alla Bozzi  in  data
29 maggio 2017, nella quale  non  si  faceva  cenno  alcuno  a  detta
circostanza; mentre si ammetteva che gli atti dell'Ufficio gli  erano
stati notificati via pec il  19  aprile  2016  e  che  egli  «per  un
disguido» se ne era accorto tardivamente. 
    Ne' vi era motivo alcuno per ulteriori  contatti  tra  funzionari
dell'Agenzia  ed  il  consulente  una  volta  portate  a  termine  le
notifiche  degli  inviti   all'adesione   e   del   primo   atto   di
contestazione. 
    Quanto alla mancanza di proporzionalita' fra violazione  commessa
e sanzione irrogata rilevo' che  il  procedimento  era  diretto  alla
regolarizzazione  di  comportamenti  infedeli   tenuti   negli   anni
precedenti, caratterizzati da particolare disvalore. Gli accertamenti
e l'atto di contestazione  emessi  a  seguito  del  fallimento  della
procedura - considero' - altro  non  erano  che  atti  che  qualunque
soggetto  avrebbe  subito  se  l'Amministrazione  finanziaria  avesse
scoperto le violazioni emerse con la procedura. 
    Quanto  alla  sanzione,  osservo'   che   il   cumulo   giuridico
pluriennale era stato  applicato,  posto  che  a  fronte  del  cumulo
materiale (per le violazioni di omessa compilazione del quadro RW dal
2009 al 2013) che avrebbe condotto ad un  importo  complessivo  di  €
308.734, la sanzione irrogata era stata pari ad € 125.074 (applicando
gli aumenti minimi di legge alla  violazione  quantitativamente  piu'
grave). E di quanto gia' versato dalla contribuente era stato  tenuto
debito conto essendo stata detta somma indicata nella parte  riferita
alle modalita' di definizione spontanea. 
    La Bozzi replico' con memoria qui depositata in data 23  novembre
2018 con la quale richiamo' la decisione del Garante del contribuente
per la Liguria da essa adito; il quale aveva raccomandato all'Ufficio
la rimodulazione delle  sanzioni  al  fine  di  evitare  «conseguenze
eccedenti il disvalore della condotta». 
    Informo' che nella parallela controversia concernente gli  avvisi
di accertamento e le conseguenti sanzioni per gli anni  dal  2010  al
2013 questa  CTP  in  diversa  sezione  aveva  provveduto  a  ridurne
l'importo. 
    Richiamato poi l'innesco della vicenda,  ribadi'  la  carenza  di
ogni propria colpa, sia in eligendo (per aver  scelto  un  consulente
inaffidabile, non essendo stata dimostrata dall'A.F. un'inadeguatezza
ad essa nota  del  professionista)  che  in  vigilando  (non  potendo
pretendersi che essa potesse conoscere gli atti contenuti  nella  pec
indirizzata al consulente). 
    Richiamati, poi, i motivi gia' dedotti  nel  ricorso,  sollecito'
una lettura costituzionalmente orientata delle seguenti  disposizioni
delle quali denuncio' comunque l'incostituzionalita': 
        a) dell'art. 1, comma 133 della legge n. 208 del  2015  sulla
voluntary  disclosure  nella  parte  in  cui,   non   prevedendo   la
possibilita' dell'invio al contribuente di una qualche  comunicazione
per informarlo dell'intervenuta notifica  al  proprio  consulente  di
atti impositivi a lui  destinati,  aveva  introdotto  un  trattamento
differenziato ed irragionevole rispetto alle notifiche a mezzo  posta
(art. 3 Cost.); 
        b) della medesima disposizione nella parte in cui non  veniva
garantita  al  contribuente  -unico  destinatario  per  legge   delle
conseguenze del mancato tempestivo pagamento del dovuto - l'effettiva
conoscenza degli atti a  lui  destinati  in  violazione  dell'art.  3
Cost.; 
        c) dell'art.  5-quinquies,  comma  10  del  decreto-legge  28
giugno 1990,  n.  167  per  esser  stata  prevista  una  sanzione  di
carattere (penale) repressivo di oggettiva gravita', in violazione: 
          del principio di personalita' della  pena  elaborato  dalla
giurisprudenza della Corte EDU per una violazione  causata  da  fatto
altrui (art. 27 Cost.); 
          del principio di presunzione di innocenza. 
    Chiese inoltre fosse preso  atto  che  essa  si  era  rimessa  in
termini  senza  oneri  aggiuntivi  avendo  comunque   effettuato   il
pagamento del dovuto. 
    All'udienza odierna, intesi  i  rappresentanti  delle  parti,  la
presente vertenza e' stata trattenuta in decisione e definita come da
dispositivo. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. - Nell'ordine  logico  delle  questioni  sottoposte  all'esame
della Commissione priorita' di esame - anche per la sua assorbenza  -
assume la questione della non imputabilita' alla Bozzi della sanzione
inflittale per mancanza di colpa. 
    Pacifico e non contestato che il pagamento  di  quanto  dovuto  a
titolo di voluntary disclosure era avvenuto in  ritardo  rispetto  ai
termini  previsti,  assume  la  Bozzi   che   l'intempestivita'   era
addebitabile al proprio  consulente  cui  essa  si  era  rivolta  per
l'espletamento della pratica; il quale l'aveva informata  in  ritardo
dell'atto  di  contestazione  con  il  quale  era  stato  determinato
l'importo del dovuto. 
    Il  professionista  -  assume  -  aveva  infatti  trascurato   di
controllare con regolarita' la propria casella di  posta  elettronica
certificata ove dovevano affluire gli atti dell'Agenzia. Solo in data
11 luglio 2016 (a termine per il pagamento - 20 giugno 2016  -  ormai
scaduto) egli si era accorto dell'inconveniente e  l'aveva  informata
del disguido: ond'essa aveva provveduto il 14 successivo al pagamento
della somma maggiorata degli interessi. 
    Nessuna responsabilita' pertanto sarebbe  ad  essa  attribuibile;
ne'  essa  avrebbe  potuto,  neppure   con   l'ordinaria   diligenza,
esercitare una vigilanza sull'operato del commercialista. 
    Una pretesa culpa in eligendo non appariva configurabile  poiche'
l'inadeguatezza del professionista  incaricato  era  stata  accertata
solo ex post: al pari di una pretesa culpa  in  vigilando,  non  solo
esclusa dal particolare meccanismo della  procedura  della  voluntary
disclosure svoltasi mediante strumenti  informatici  al  cui  accesso
essa era esclusa ma pure  dal  fatto  che,  pochi  giorni  dopo  aver
appreso della mancata comunicazione, essa si era prontamente attivata
per il pagamento. 
    La  sanzione,  inoltre,  sarebbe  manifestamente   sproporzionata
rispetto alla violazione commessa. Per un ritardo  nel  pagamento  di
appena 24 giorni l'Agenzia  le  aveva  denegato  il  beneficio  della
voluntary  disclosure  emettendo  avvisi  di  accertamento   per   le
annualita' interessate; e - per  quanto  qui  interessa  -  le  aveva
inflitto una sanzione pecuniaria  per  la  mancata  compilazione  dei
modelli RW senza  considerare  che  il  preteso  illecito  non  aveva
arrecato alcun pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo ne
aveva inciso sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta
e sul versamento del tributo. Dal carattere meramente  formale  della
violazione - conclude  sul  punto  -  discenderebbe  la  propria  non
punibilita' ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n.  462  del
1997. 
    2. - Il sistema della voluntary disclosure come  delineato  dalla
disciplina ratione temporis si prefiggeva l'emersione delle attivita'
finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio
dello Stato  mediante  la  possibilita'  per  il  loro  detentore  di
avvalersi di una procedura premiale particolarmente favorevole. 
    A tal fine l'interessato avrebbe dovuto: 
        a) indicare spontaneamente  all'Amministrazione  finanziaria,
mediante  la  presentazione  di   apposita   richiesta,   tutti   gli
investimenti e tutte le attivita' di natura finanziaria costituiti  o
detenuti all'estero, anche indirettamente o per  interposta  persona,
fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione
dei redditi utilizzati per costituirli  o  acquistarli,  nonche'  dei
redditi che derivavano  dalla  loro  dismissione  o  utilizzazione  a
qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni per  la
determinazione degli eventuali maggiori imponibili: 
        b) versare le somme dovute, a seguito di uno specifico invito
dell'A.F., in unica soluzione ovvero, su richiesta dell'autore  della
violazione, in tre rate mensili di pari importo. 
    Per quanto qui interessa  (art.  5-quater  del  decreto-legge  n.
167/1990, convertito in legge n. 227/1990) «... il mancato  pagamento
di una delle rate comporta[va] il  venir  meno  degli  effetti  della
procedura». 
    Il concetto era ribadito  nel  successivo  art.  5-quinquies,  il
quale prevedeva che «Se il contribuente  destinatario  non  versa  le
somme dovute  nei  termini  previsti  dall'art.  5-quater,  comma  1,
lettera  b),  la  procedura  di  collaborazione  volontaria  non   si
perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai commi 1, 4, 6 e 7
del presente articolo». In tale ipotesi «... l'Agenzia delle  entrate
notifica  ...  un  avviso  di  accertamento  e  un  nuovo   atto   di
contestazione con la rideterminazione della sanzione...». 
    Pertanto anche il semplice ritardo nel versamento del  dovuto,  a
prescindere   dall'importo   e   dall'entita'    del    differimento,
determinavano la  grave  conseguenza  dell'inefficacia  della  intera
procedura,  esponendo  colui  che  se  ne  fosse  avvalso  ed  avesse
lealmente dichiarato le  proprie  disponibilita'  estere  alla  grave
conseguenza di  essere  per  cio'  solo  sottoposto  ad  accertamento
fiscale;  con  possibili  conseguenze  anche  penali  in   dipendenza
dell'ammontare dell'importo dichiarato. 
    Sostanzialmente, quindi, un versamento tardivo veniva  equiparato
ad un mancato pagamento; e il ritardo determinava  l'integrale  venir
meno della procedura collaborativa. 
    Non  puo'  quindi  condividersi  il  rilievo   della   ricorrente
attinente  il  carattere  meramente  formale  della  violazione;  dal
legislatore ritenuta anzi di carattere sostanziale in quanto connessa
alla impossibilita' per l'agente di fruire del beneficio fiscale. 
    3. - Come e' noto ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n.
472 del 1997 nelle  violazioni  punite  con  sanzioni  amministrative
ciascuno risponde della propria  azione  od  omissione,  cosciente  e
volontaria, sia essa dolosa o colposa. 
    La causa di non punibilita' prevista dall'art.  6,  terzo  comma,
del decreto legislativo n. 472 del 1997  -  invocata  dalla  Bozzi  -
esclude l'assoggettabilita'  del  contribuente  a  sanzione  solo  se
dimostri che il pagamento del tributo non e' stato eseguito per fatto
denunciato all'autorita' giudiziaria e addebitabile esclusivamente  a
terzi. 
    Richiamata l'equiparazione, ai fini della non  fruibilita'  della
procedura, del ritardo  all'omesso  versamento,  puo'  legittimamente
dubitarsi della possibilita' di applicare alla fattispecie  in  esame
tale esimente. Essa, infatti, riguarda la violazione di norme  punite
con sanzioni amministrative: laddove nel caso  in  esame  si  discute
sostanzialmente della disapplicazione di norme premiali,  conseguente
al  comportamento  della  ricorrente,  non   aventi   caratteristiche
propriamente sanzionatorie (ma sul punto valgano le considerazioni di
cui al paragrafo 5.1); e la sanzione applicata alla Bozzi e' solo una
conseguenza di tale disapplicazione. 
    Peraltro, anche a ritenerne  l'applicabilita',  occorrerebbe  pur
sempre che l'omissione sia dipesa da fatto del consulente costituente
reato; e  che  la  Bozzi  abbia  provveduto  alla  relativa  denuncia
all'A.G. 
    Nella casistica esaminata dalle Corti l'ipotesi  piu'  ricorrente
e' quella di una truffa perpetrata ai danni di un cliente da parte di
un consulente che abbia falsamente asserito di aver  provveduto  alla
redazione  ed  inoltro  di  una  dichiarazione  e  abbia  omesso   di
corrispondere all'Erario quanto il cliente  gli  abbia  consegnato  a
detto titolo. 
    Non e' certo questo il caso di specie nel quale  non  si  ravvisa
alcun reato astrattamente attribuibile al consulente;  il  quale  per
mera dimenticanza  -  evento  che  puo'  avere  incidenza  sul  piano
civilistico ma non su quello penalistico -  ha  omesso  di  informare
tempestivamente la cliente dell'importo da pagare. 
    Non praticabile, ad avviso del Collegio, appare  poi  la  strada,
adottata da una isolata giurisprudenza (CTP Pavia 10 luglio 2017,  n.
236), dettata dall'art.  15-ter  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 602/1973 recante  «Inadempimenti  nei  pagamenti  delle
somme dovute a seguito dell'attivita' di controllo dell'Agenzia delle
entrate» (c.d. ritardi di breve durata o errori di  limitata  entita'
che  non  comportano  l'automatica  decadenza  del  beneficio   della
rateazione): con cio' ritenendo lieve un ritardo di 24 giorni (dal 23
agosto 2016 al  16  settembre  2016:  casualmente  lo  stesso  spazio
temporale  oggetto  della  presente   controversia)   nel   pagamento
dell'importo dovuto. 
    E' infatti evidente che tale disciplina non solo ha  riguardo  ad
ipotesi dissimili dal caso di  specie  (inadempimenti  nei  pagamenti
delle somme dovute a seguito dell'attivita' di controllo dell'Agenzia
delle entrate: art. 15-ter cit.), ma riguarda un  tardivo  versamento
della prima rata non superiore a sette giorni.  (art.  15-ter,  terzo
comma, lettera b). 
    4.  -  Anche  il   diritto   vivente   esclude   l'applicabilita'
dell'esimente, fatta eccezione per l'ipotesi penalmente  apprezzabile
sopra indicata. 
    Si afferma infatti,  con  un  orientamento  ormai  consolidato  e
risalente nel tempo, che il contribuente non puo' considerarsi esente
da colpa per il solo fatto di aver delegato ad un  commercialista  le
adempienze ai propri doveri fiscali, dovendo egli altresi' allegare e
dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere
svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova
superabile soltanto a fronte  di  un  comportamento  fraudolento  del
professionista, finalizzato a  mascherare  il  proprio  inadempimento
(cfr. Cassazione 5 luglio 2016. n. 13709; Cassazione 21 maggio  2010,
n. 12473; Cassazione 21 maggio 2010, n. 12474; Cassazione 11 dicembre
2013, n. 27712; Cassazione 15 giugno 2011,  n.  13068;  Cassazione  9
giugno 2016, n. 11832; Cassazione 20 luglio 2018, n. 19422). 
    Va detto che quel che viene  addebitato  alla  ricorrente  e'  il
pagamento in ritardo  del  dovuto;  che  costituisce  ai  fini  della
voluntary disclosure un mancato  pagamento.  Poiche'  il  ritardo  e'
equiparato al mancato pagamento la Bozzi null'altra prova liberatoria
potrebbe fornire se non quella  di  aver  denunciato  per  truffa  il
consulente; ipotesi del tutto impraticabile. 
    Tra l'altro nel caso di specie neppure puo' profilarsi un difetto
di vigilanza della Bozzi sull'operato del professionista. Le  ipotesi
prese in esame dalla giurisprudenza  sono  infatti  relative  per  la
maggior parte alla omissione nella presentazione della  dichiarazione
dei redditi e nel pagamento del dovuto alla  scadenza  di  legge:  in
fattispecie quindi nelle quali il cliente avrebbe potuto,  conoscendo
(e  ovviamente  non  potendo  non  conoscere)  le  scadenze  per   la
presentazione della prima e del  pagamento  del  secondo,  informarsi
presso il professionista sull'avvenuto adempimento delle obbligazioni
di legge. 
    Nel caso in esame. invece, la Bozzi era totalmente priva di  ogni
riferimento temporale che potesse consentirle  un  qualche  controllo
poiche' l'intera procedura non seguiva tempistiche predeterminate non
essendo stato previsto normativamente in  quale  periodo,  una  volta
presentata  la  domanda  di  adesione  alla   voluntary   disclosure,
l'Ufficio avrebbe notificato gli atti conseguenti. 
    Non potendo quindi applicarsi l'esimente  in  parola  alla  Bozzi
viene attribuita sostanzialmente una  responsabilita'  oggettiva  per
fatto altrui senza possibilita' di fornire  alcuna  prova  a  proprio
favore. 
    5. - Tirando le fila del discorso sin  qui  svolto  due  sono  le
norme di ostacolo all'accoglimento del ricorso della Bozzi: 
        a) l'art. 5-quater del decreto-legge n. 167/1990,  convertito
in legge n. 227/1990 per il quale «il mancato pagamento di una  delle
rate comporta[va] il venir meno degli  effetti  della  procedura»  in
correlazione  con  l'art.  5-quinquies  per  il  quale   il   mancato
versamento delle somme dovute «...  nei  termini  previsti  dall'art.
5-quater,  comma  1,   lettera   b)   ...»   determina   il   mancato
perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria  con  la
conseguente  attivita'  accertativa  e  sanzionatoria  dell'A.F.   In
particolare  detta  norma  imponeva   all'A.F.   di   notificare   al
contribuente «... un avviso  di  accertamento  e  un  nuovo  atto  di
contestazione con la rideterminazione  della  sanzione  entro  il  31
dicembre dell'anno successivo a quello di  notificazione  dell'invito
di cui al predetto,  e  successive  art.  5,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 218 del 1997 modificazioni, o a  quello  di  redazione
dell'atto di adesione o di notificazione dell'atto di contestazione»; 
        b) l'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo n. 472  del
1997 cosi come interpretato dalla giurisprudenza della  S.C.  per  il
quale il  contribuente  non  e'  assoggettato  a  sanzione  solo  «se
dimostri che il pagamento del tributo non e' stato eseguito per fatto
denunciato all'autorita' giudiziaria e addebitabile esclusivamente  a
terzi». 
    5.1 - La prima disposizione  ha  un  carattere  sanzionatorio  in
senso lato sia per  le  gravi  conseguenze  anche  sul  piano  penale
conseguenti al mancato perfezionamento del beneficio della  voluntary
disclosure e alla  infruttuosa  autodenuncia  del  contribuente,  sia
perche' dal mancato pagamento nei termini di legge e'  scaturita  una
specifica sanzione (tributaria) inflitta alla Bozzi equiparabile, per
quanto infra, ad una sanzione penale. 
    E'  nota  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo la quale in diverse occasioni  (decisioni  8  giugno  1976,
Engel e altri contro Paesi Bassi; 21  febbraio  1984,  Öztürk  contro
Germania; 1° febbraio 2005, Ziliberberg contro Moldavia) ha affermato
la natura sostanzialmente penale,  ai  fini  dell'applicazione  delle
garanzie del giusto  processo  (art.  6  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo),   di   sanzioni   pur   formalmente   qualificate    come
amministrative nell'ordinamento  interno  degli  Stati,  purche'  sia
riscontrata  la  presenza  di  almeno  uno  dei  criteri  (cosiddetti
«criteri Engel») elaborati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale
per tale riqualificazione. 
    Perche' una sanzione debba considerarsi sostanzialmente penale ai
sensi della Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali occorre che  presenti  almeno
uno di questi caratteri: 
        a) la norma  che  commina  la  sanzione  amministrativa  deve
rivolgersi alla generalita' dei consociati  e  perseguire  uno  scopo
preventivo, repressivo e punitivo, e non meramente risarcitorio; 
        b) la sanzione deve comportare per l'autore dell'illecito  un
significativo sacrificio, anche di natura meramente economica, e  non
consistente nella privazione della liberta' personale. 
    Peraltro gia' codesta Corte aveva affermato che una equiparazione
dei principi penalistici anche alle sanzioni  amministrative  avrebbe
potuto desumersi «... dall'art. 25, secondo comma, Cost., il quale  -
data  l'ampiezza  della  sua  formulazione  («Nessuno   puo'   essere
punito...») - puo' essere interpretato nel senso che ogni  intervento
sanzionatorio, il quale non abbia  prevalentemente  la  .funzione  di
prevenzione criminale e' applicabile soltanto  se  la  legge  che  lo
prevede risulti gia' vigente al momento della commissione  del  fatto
sanzionato» (cfr. Corte costituzionale 4 giugno 2010, n.  196.  punto
3.1.5 del considerato in diritto). 
    Detto questo, la perdita del  beneficio  di  che  trattasi  e  la
conseguente  sanzione  amministrativa  inflitta  alla  Bozzi  per  la
mancata presentazione del modello RW possono essere equiparate,  alla
luce dei suddetti criteri, ad una sanzione penale: sia  perche'  tali
disposizioni, rivolte alla generalita' dei consociati, perseguono uno
scopo non meramente  risarcitorio  ma  repressivo  e  preventivo  nei
confronti del fenomeno delle disponibilita' di  attivita'  di  natura
finanziaria costituite o detenute all'estero nonche' delle violazioni
del c.d. monitoraggio fiscale; sia perche' la sanzione  astrattamente
irrogabile puo' raggiungere, come nel  caso  di  specie,  un  importo
assai rilevante. 
    Il riconoscimento di tale  natura  alla  sanzione  inflitta  alla
Bozzi   implica   l'applicabilita'   dei   principi    costituzionali
conseguenti: tra i quali quello di cui all'art. 27  Cost.  (principio
di personalita' della pena). Detto principio implica il divieto della
responsabilita' oggettiva, relativo a situazioni in cui gli  elementi
piu' significativi della fattispecie non siano coperti  almeno  dalla
colpa dell'agente, mancando, quindi ogni tipo  di  rapporto  psichico
tra soggetto e fatto. 
    Di tale ipotesi e' chiara riproduzione  il  caso  di  specie  nel
quale alla Bozzi e' attribuita una responsabilita' sanzionata con  la
pena pecuniaria per esclusivo fatto del  proprio  commercialista  sul
quale essa non poteva in alcun modo incidere. 
    5.2 - Le norme  sono  poi  censurabili  sotto  il  profilo  della
manifesta sproporzione sanzionatoria in violazione dell'art. 3  Cost.
La  Corte  costituzionale  ha  affermato  che,  se  e'  vero  che  la
commisurazione   delle   sanzioni   e'    materia    affidata    alla
discrezionalita'   del   legislatore,    involgendo    «apprezzamenti
tipicamente politici», nondimeno detti apprezzamenti  possono  essere
censurati ove essi «trasmodino  nella  manifesta  irragionevolezza  o
nell'arbitrio, come avviene a fronte di  sperequazioni  sanzionatorie
tra  fattispecie  omogenee  non  sorrette   da   alcuna   ragionevole
giustificazione». 
    In particolare e' stato affermato che il principio  d'uguaglianza
(sotto il profilo della ragionevolezza-eguaglianza) esige che la pena
sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso,  in  modo
che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione  di
difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali;  ed
ha  aggiunto  che  le  valutazioni  all'uopo   necessarie   rientrano
nell'ambito  del  potere  discrezionale  del  legislatore,   il   cui
esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della  legittimita'
costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato  il
limite della ragionevolezza (cfr. le sentenze 25 maggio 1979, n.  26;
20 maggio 1980, n. 72; 27 maggio 1982, n. 103; 16 febbraio  1989,  n.
49). 
    Pare alla Commissione che un sistema sanzionatorio  che  equipari
un semplice ritardo nell'adempimento dei doveri  tributari  alla  ben
piu' grave omissione, che  non  moduli  la  sanzione  ne'  ne  gradui
l'entita' e la misura in rapporto al ritardo,  non  sia  conforme  ai
criteri  di  ragionevolezza,  specie  se  correlato   a   fattispecie
tributarie nelle quali l'omissione ed il ritardo  sono  correttamente
tenuti distinti ed autonomamente valutati. Basti pensare tra le tante
ipotesi  al  ritardo  nella  presentazione  della  dichiarazione  dei
redditi, che il legislatore ha tenuto ben distinta dalla  piu'  grave
omissione. 
    Va richiamata sul punto la giurisprudenza costituzionale  che  ha
chiarito, seppur con riguardo agli aspetti  penali  (ma  applicabile,
per  quanto  innanzi,  alle  sanzioni  amministrativo-tributarie)  il
proprio sfavore per le c.d. pene fisse. E'  stato  infatti  precisato
che «in  linea  di  principio  previsioni  sanzionatorie  rigide  non
appaiono ... in armonia  con  il  volto  costituzionale  del  sistema
penale ed il dubbio di  legittimita'  costituzionale  potra'  essere,
caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito
sanzionato e per la misura della  sanzione  prevista,  questa  ultima
appaia ragionevolmente "proporzionata" rispetto all'intera  gamma  di
comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (cfr. Corte
costituzionale 14 aprile 1980, n. 50). 
    E la perdita tout court del beneficio della voluntary  disclosure
per un semplice ritardo nel pagamento non puo' non essere considerata
una pena fissa, sospettabile di incostituzionalita'. 
    5.3 - Sempre con riferimento al principio di eguaglianza (art.  3
Cost.) e al principio di imparzialita' della pubblica amministrazione
(art. 97, secondo comma, Cost.), va rilevato che il contribuente  che
avesse versato in ritardo il dovuto a titolo di voluntary  disclosure
avrebbe subito un trattamento  deteriore  rispetto  a  colui  la  cui
istanza fosse stata ritenuta inammissibile e/o  improcedibile  e  che
quindi non avesse versato alcunche'. 
    Va ricordato  che,  successivamente  alla  prima  edizione  della
procedura, ne e' stata formulata una seconda  tramite  l'art.  7  del
decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito  con  modificazioni
dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225 recante «riapertura dei  termini
della procedura di collaborazione volontaria e norme collegate». 
    Sul punto l'Agenzia delle entrate ha dettato norme (circolare  12
giugno 2017,  n.  19/E,  par.  4.  pagg.  9,  10  e  11)  per  cui  i
contribuenti che avessero presentato una  istanza  nell'ambito  della
prima edizione  ritenuta  inammissibile  o  improcedibile,  sarebbero
stati ammessi ad accedere alla seconda edizione senza  subire  alcuna
sanzione; mentre era stato espressamente escluso  (v.  pag.  10)  che
potessero accedervi coloro nei cui confronti la precedente  procedura
«... non si [fosse] perfezionata  per  mancato  pagamento  di  quanto
dovuto». 
    Tale interpretazione finisce per trattare in maniera  disomogenea
e irrazionale fattispecie aventi diverso impatto  giuridico;  poiche'
favorire chi avesse presentato una istanza inammissibile (ad  esempio
dopo  intervenuti  accessi  od  ispezioni  da  parte   dell'A.F.)   o
improcedibile  (ad  esempio  senza  aver  allegato  documentazione  a
sostegno) rispetto a chi avesse presentato una  istanza  regolare  ma
non avesse pagato (i.e. avesse pagato in ritardo) appare  irrazionale
ed irragionevole sia sotto  il  profilo  dell'eguaglianza  tributaria
(art. 3 Cost.) che sotto il  profilo  dell'obbligo  di  imparzialita'
della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.) 
    Ben maggiore appare infatti il disvalore della  condotta  di  chi
sia stato scoperto in possesso di attivita' finanziarie all'estero  a
seguito di autonoma indagine  dell'A.F.  rispetto  a  quella  di  chi
lealmente  abbia  dichiarato   alla   A.F.   le   proprie   attivita'
corrispondendo in ritardo il dovuto. 
    5.4 -  La  sanzione  appare  poi  censurabile  sotto  il  profilo
dell'art. 53 Cost. Se e' vero che da  gran  parte  della  dottrina  e
giurisprudenza e' stata esclusa l'applicabilita' di tale disposizione
alle sanzioni ritenendosi il principio della  capacita'  contributiva
riferito e riferibile esclusivamente ai tributi intesi come modalita'
di concorso alle spese pubbliche, va tuttavia detto  che  tramite  le
sanzioni  tributarie  pecuniarie  il  legislatore  persegue   spesso,
accanto  la  funzione   punitiva,   il   concorrente   obiettivo   di
incrementare le entrate. 
    Ove  dovesse  verificarsi  un  uso   distorto   dello   strumento
sanzionatorio per cui la funzione impositiva volta ad  assicurare  il
prelievo diventasse prioritario rispetto alla normale funzione  della
sanzione non sembra possa  essere  esclusa  l'assimilazione  di  tale
prelievo  a  quello   propriamente   fiscale   con   la   conseguente
possibilita' di verificarne la compatibilita' con l'art. 53 Cost. 
    Nel caso specifico pare  alla  Commissione  che  il  legislatore,
imponendo al contribuente che  avesse  inteso  fruire  del  beneficio
fiscale il rispetto di termini incongrui, non suscettibili di  alcuna
via di uscita, abbia sostanzialmente perseguito il fine di assicurare
un prelievo di ricchezza da  valutarsi  in  ragione  della  capacita'
contributiva dell'agente. 
    Poiche' la misura della sanzione e' stata determinata in  maniera
aritmetica senza tenere conto di tale parametro la  normativa  sembra
contrastare con l'art. 53 Cost. 
    6. - Nessuna interpretazione  adeguatrice  sembra  possibile.  Il
testo della normativa surrichiamata  e'  chiaro  e  non  consente  di
attribuire altro  significato  costituzionalmente  orientato  se  non
quello fatto proprio dalle parole utilizzate; poiche' il  legislatore
ha chiaramente inteso, probabilmente per blindare il meccanismo della
voluntary disclosure, imporre al contribuente il rigoroso rispetto di
una tempistica nel pagamento al di la' di ogni logica  anche  fiscale
che ne modulasse, eventualmente anche con aggravi pecuniari ulteriori
(interessi, sovratasse e quant'altro) il ritardo. 
    Cosi' dicasi per l'esimente che, cosi' come formulata e cosi come
interpretata dalla S.C.,  finisce  per  rappresentare  una  sorta  di
responsabilita'  oggettiva  per  fatto   altrui,   irrispettosa   del
principio di responsabilita' personale. 
    7. - Pare quindi alla Commissione che  le  questioni  prospettate
siano  rilevanti  ai  fini  del  decidere  poiche'  le   disposizioni
normative sospettate di incostituzionalita' sono l'unico ostacolo che
si frappone all'accoglimento del ricorso della  Bozzi  (le  ulteriori
censure, ove accolte, comporterebbero solo  una  rimodulazione  della
sanzione); ne' appaiono  manifestamente  infondate  alla  luce  delle
argomentazioni sopra svolte. 
    Si  impone  quindi  la   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale con conseguente sospensione del presente  procedimento
sino all'esito del giudizio di costituzionalita'.